45 anni fa moriva Bruce Lee, ne avrebbe compiuti 33 di li a 4 mesi.

Di lui si è scritto tantissimo ed ancora oggi la sua figura spacca in due il mondo marziale: chi lo adora e chi lo considera una sorta di venditore di fumo. Si può criticare la sua vita, il suo modo di fare film e le sue scelte tecniche ma alcuni meriti sono oggettivi.

Lee ha prima di tutto reso popolari le arti marziali in tutto il mondo grazie ai suoi film, belli o brutti che li si voglia considerare questo è un fatto. Le arti marziali sono sempre esistite in tutto il mondo. L’uomo combatte da che è sulla faccia della terra ed il progresso tecnico nella storia è andato di pari passo a quello tecnologico. Dall’allenamento per la guerra nacquero gli sport da combattimento. La lotta è testimoniata in Egitto già 43 secoli fa. Anche in Italia esisteva un ricco patrimonio marziale ma andò progressivamente scomparendo con l’introduzione delle armi da fuoco. Restarono solo gli sport da combattimento come la lotta, la boxe e la scherma. Nel 1948 invece Gino Bianchi introdusse in Italia il Ju Jitsu giapponese. Negli anni ’50 e ’60 arrivarono judo e karate ma all’inizio degli anni ’70 erano una pratica di nicchia. In soli due anni, dal 1971 al 1973, e con soli 3 film Lee fece diventare queste discipline un fenomeno mondiale.

La sua filosofia cambiò il modo di fare arti marziali, soprattutto negli anni dopo la sua morte. Può essere riassunta in due frasi: “nessun limite come limite e nessuno stile come stile”; “Assorbi ciò che è utile, getta ciò che è inutile, aggiungi ciò che è tuo”. Una rivoluzione copernicana in un mondo che predicava l’assoluta immodificabilità della disciplina praticata. Un controsenso perché la storia testimonia la continua evoluzione dei metodi di combattimento. E se si riflette su questa nuova mentalità non si può che concludere che altro non si tratta che dell’applicazione nelle arti marziali del metodo scientifico: provare e riprovare per ottenere un miglioramento. Ne nacquero nuove discipline, in genere orientate alla difesa personale. L’esempio più eclatante però è probabilmente quello delle MMA che guardano a tutte le discipline da combattimento per sintetizzare un nuovo metodo amalgamando tecniche di diversa provenienza. Diverse star dell’UFC, la più importante promotion di MMA al mondo, lo hanno riconosciuto. Ne citiamo solo un paio: “Ha capito che una sola disciplina non sempre funziona e si è adattato” UrijhFaber; “Era un vero visionario che ha capito la necessità di integrare diverse arti marziali in una sola per crearne una vera e realistica. Vide la necessità delle MMA prima della loro nascita” Roy Nelson.

Abbandonò i metodi tradizionali d’allenamento orientali per adottare i più moderni ed efficaci sistemi occidentali, ispirandosi alla boxe ed alla scherma. Rinunciò quindi alle forme per utilizzare i colpitori e l’allenamento in coppia molto più utile del continuo ripetere tecniche a vuoto.

Sempre in tema di metodologie d’allenamento capì che al marzialista occorreva una preparazione atletica che sfruttasse anch’essa la scienza moderna e non metodi precedenti le moderne conoscenze mediche. Studiò nuove diete e soprattutto introdusse l’allenamento coi pesi, per anni osteggiato dai tradizionalisti ed oggi invece comunemente utilizzato. Ottenne un fisico muscoloso e definito restando agilissimo. Di lui il grande campione Arnold Schwarzenegger disse: Bruce Lee aveva un fisico davvero – e intendo davvero – definito. Aveva pochissima massa grassa. Aveva probabilmente uno dei coefficienti di massa grassa più bassi di qualsiasi atleta esistente”.

Come tuti i grandi continuerà sempre a far discutere e ad avere estimatori e denigratori ma a pieno titolo ha un posto di primo piano nella storia delle arti marziali.

Guido Colombo