COVID19 E PALESTRE, IL PARERE DI UN EPIDEMIOLOGO
Il dottor Paolo Gulisano è un medico epidemiologo specializzato in medicina preventiva ed igiene, dirigente medico del servizio vaccinazioni della ASST di Lecco ed ex docente a contratto di igiene applicata e di storia della medicina all’università di Milano Bicocca. Nel 2006 ha scritto il libro PANDEMIE, DALLA PESTE ALL’AVIARIA oggi riproposto in versione aggiornata in formato e-book col titolo di PANDEMIE, DALLA PESTE AL CORONAVIRUS
Da anni è anche medico sociale del Basket Lecco (serie B) e per questa società ha elaborato i protocolli di sicurezza per gli allenamenti durante la pandemia.
DOTTORE PER COMINCIARE CI PUÒ SPIEGARE LA DIFFERENZA TRA VIROLOGO ED EPIDEMIOLOGO E PERCHÉ SUI MEDIA TROVIAMO SOLO I COMMENTI DEI PRIMI?
“L’epidemiologia è una branca della medicina che si avvale di esami clinici ma anche di statistiche per seguire l’andamento di una malattia non necessariamente infettiva. Infatti ogni volta che ci si trova davanti ad un numero di casi superiori all’atteso si parla di epidemia. La virologia è invece una branca della microbiologia che si dedica alla ricerca in laboratorio. Perché in TV non vengano mai invitati gli epidemiologi invece non mi è ben chiaro”.
NEL MODO PIÙ SEMPLICE POSSIBILE PUÒ SPIEGARCI CHE TIPO DI PATOLOGIA È IL COVID 19 E SE È UGUALMENTE PERICOLOSO PER TUTTI?
“È un virus nuovo conseguente ad una mutazione che non è ancora certo come e dove si sia verificata. È importante sottolineare che si tratta di un virus che non utilizza il DNA ma l’RNA come materiale genetico. La differenza è che questi tipi di virus mutano molto più velocemente e, tra l’altro, questo rende molto più difficile realizzare un vaccino”.
ECCO, TERAPIE E VACCINO SONO IN ULTIMA ISTANZA IL TEMA PIÙ DIBATTUTO. LA GENTE NON HA BEN CHIARO COME VIENE TRATTATO IL PAZIENTE COVID MENTRE ALCUNI PARLANO DI VACCINO DI IMMINENTE DISTRIBUZIONE, POSSIAMO FARE IL PUNTO SULLA SITUAZIONE?
“Occupandomi proprio di vaccini inviterei alla prudenza su questo argomento. Teniamo presente che di solito si riesce ad arrivare ad un vaccino (ma non per tutte le malattie lo abbiamo) nell’arco di 5/6 anni tra ricerca e sperimentazione. Prima di essere distribuito ci si deve infatti accertare che sia efficace ma anche sicuro in relazione a possibili effetti collaterali. Utilizzare un vaccino non sufficientemente testato e con ragionevole certezza che sia sicuro può rivelarsi più pericoloso che utile. In questo caso è sorprendente che si parli di un vaccino già pronto o quasi dopo meno di un anno di studi sulla malattia.
Parlando invece delle terapie attualmente viene utilizzato il cortisone il che va bene perché il COVID di fondo determina un fortissimo stato infiammatorio ed è per questo che non bastano gli antipiretici per trattarlo. Si impiega poi l’azitromicina che è un antibiotico che agisce sui batteri che possono dare sovrainfezione (gli antibiotici attaccano i batteri non i virus NDR) ed ha anche un effetto antinfiammatorio. Un problema sorge col Cortisone nel caso dei pazienti diabetici perché alza la glicemia e quindi in questi malati andrà valutato caso per caso dal medico il rapporto tra rischi e benefici del suo utilizzo. Nei casi più seri si ricorre poi all’eparina che è un trombolitico. Quest’ultimo farmaco va detto che ad inizio pandemia non veniva utilizzato. Per prevenire il contagio erano infatti state vietate le autopsie sui deceduti infetti, decisione molto discutibile dato che disponiamo di attrezzature che permettono di operare anche in ambienti altamente contaminati. Solo quando qualche medico, disattendendo queste disposizioni, ha effettuato le autopsie si è scoperto che c’era presenza di trombi che rendevano inutile la ventilazione e portavano il paziente al decesso. Siamo in ogni caso di fronte ad un virus nuovo come ho detto ad inizio intervista e quindi la ricerca è in evoluzione. Ad esempio, anche se non se ne sente più parlare, sta proseguendo la ricerca sul plasma autoimmune che aveva dato risultati sorprendenti. Lo sta studiando il professor Cesare Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia del San Matteo di Pavia, che guida un progetto finanziato dall’Unione Europea http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=87889
C’è poi la tanto dibattuta idrossiclorochina il cui utilizzo è purtroppo diventato tema di scontro politico influenzando la ricerca. Questo farmaco era già stato usato nel 2003 contro la SARS (il primo coronavirus mutato) rispetto al quale i tentativi di trovare un vaccino furono fallimentari. È una molecola che interviene sull’endocitosi ovvero impedisce l’ingresso dei virus nelle cellule. Come è noto è stata sostenuta con forza fin dall’inizio dal prof. Raoult di Marsiglia, un microbiologo e infettivologo di fama mondiale mentre in generale la comunità scientifica si è divisa. In Italia questo suo utilizzo è stato vietato dall’AIFA ma UN GRUPPO DI MEDICI DI BASE sin da marzo sostiene di aver utilizzato con buoni risultati il farmaco per la cura domiciliare dei pazienti meno gravi ed ha rivolto un appello all’AIFA per rimuovere il divieto. E’ FAVOREVOLE ANCHE IL PROF. LUIGI CAVANNA primario di oncoematologia all’ospedale di Piacenza che l’ha utilizzata con successo su oltre 300 pazienti. C’è anche CHI LA IMPIEGA IN GERMANIA ma soprattutto, COME SPIEGA UN RICERCATORE DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’, è prevista nei protocolli cinesi aggiornati a settembre. E’ per questo che all’estero gli studi su questo farmaco come terapia anti COVID continuano. Ci si sta concentrando in particolare non sull’uso nei pazienti gravi ma sul possibile impiego preventivo o nelle prime fasi della malattia. L’università di Oxford ad esempio sta continuando le ricerche a riguardo“.
QUANTO È DAVVERO PERICOLOSO QUESTO VIRUS ED È DAVVERO NECESSARIO CHIUDERE LE PALESTRE OPPURE CI SI PUÒ ALLENARE SE SI SEGUONO DETERMINATI PROTOCOLLI?
“Intanto ricordiamoci che positivo non vuol dire malato anzi, il 95% di essi è asintomatico mentre il tasso di mortalità è dell’1,5%. Quanto ai deceduti va detto che ad oggi il 99% di essi aveva altre patologie. Le morti infine sono quasi tutte riferite ad anziani o a persone di varie età comunque già malate e quindi con fisico debilitato e sistema immunitario debole. Le statistiche pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità sono chiare: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia 5 decessi di bambini sotto i 10 anni (ma erano già afflitti da altre gravi malattie come la leucemia), ZERO nella fascia 10-19 anni ed in totale sotto i quarant’anni un centinaio di deceduti. Solo il 3,5% dei morti non era malato mentre in 2 casi su 3 si trattava di pazienti con 3 o più patologie.
Venendo nello specifico al mondo dello sport ed in particolare degli sport di contatto posso dire che quello delle palestre è un mondo protetto perché già a monte gli atleti per allenarsi non possono essere malati (chi va in palestra con 38 di febbre?) e chi fa sport ha per definizione un fisico in buone condizioni e, nel caso degli agonisti, di solito è anche giovane. Resterebbe quindi la domanda “ma non possono trasmettersi il virus da asintomatici e quindi poi contagiare ad esempio i genitori”? Ecco, qui è dove entrano in gioco i famosi protocolli di sicurezza. Io ho esaminato quelli che mi avete inviato (quelli elaborati da FIGMMA e FIKBMS ndr) e li ho trovati assolutamente adeguati per potersi allenare in sicurezza. Del resto non risultano ad oggi focolai d’infezione nelle palestre”.
COSA FAREBBE SE DIPENDESSE DA LEI PER COMBATTERE LA PANDEMIA?
“Io propendo per il modello svedese ovvero il cosiddetto “lock down leggero”. Dobbiamo seguire le norme igieniche per prevenire il contagio, evitare assembramenti ma senza bloccare tutto e soprattutto proteggere le categorie a maggior rischio, anziani e persone di qualunque età con patologie che ne rendono debole il sistema immunitario. Infine, per tornare la modello svedese, inviterei i media ad informare evitando il sensazionalismo che crea solo panico tra la popolazione”.
QUESTA È LA PEGGIOR PANDEMIA A CUI ASSISTIAMO DALLA FINE DELLA GUERRA?
“Questo lo potremo dire solo a pandemia conclusa. Allo stato attuale se guardiamo al passato vediamo l’influenza Asiatica che nel ’57-’58 in Italia fece 30 mila vittime mentre oggi siamo a quota 39 mila. A livello mondiale furono invece 2 milioni circa su una popolazione di 2 miliardi e 900 milioni di persone e con un tasso di mortalità quindi dello 0,069%. Per contro attualmente su scala globale le vittime stimate sono 1 milione e 200 mila con un tasso di mortalità dello 0,016%, più di 4 volte più basso. A questo va aggiunto che oggi ci sono anche accese discussioni sulla catalogazione dei decessi ovvero su quanti siano i deceduti DI oppure CON il coronavirus. Questo è legato al fatto che, come già detto, in gran parte si tratta di persone anziane e con già diverse patologie. Per contro di quei 30 mila morti d’Asiatica 20 mila erano giovani e sani militari di leva. 20 mila morti totali in Italia fece anche l’influenza di Hong Kong del ’68 che superò il milione di decessi su scala mondiale su una popolazione però di 3 miliardi e mezzo di persone contro i 7 miliardi e 700 milioni di oggi. La percentuale di decessi fu quindi dello 0,029% quasi il doppio di oggi”.
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